Genova, città ricca di storia e tradizioni, nasconde tra le sue vie e i suoi vicoli una leggenda ricca di colpi di scena: la storia complicata di Paciugo e Paciuga, due figure unite da un legame indissolubile, ma costantemente messo alla prova da eventi straordinari.
La leggenda di Paciugo e Paciuga
La leggenda affonda le sue radici nell’XI secolo, in un’atmosfera intrisa di devozione e mistero. Paciugo, un marinaio di via Prè, e Paciuga, la sua devota sposa, nelle raffigurazioni indossano sempre eleganti costumi genovesi del XVIII secolo, ma la loro vicenda è ambientata in un’epoca ancora più remota, arricchita da elementi di fede e prodigi.
Il racconto inizia con il destino crudele che separa i due sposi: Paciugo, durante un viaggio in mare, viene fatto prigioniero dai Turchi e trascorre dodici anni in cattività in Algeria. Nel frattempo, Paciuga, fedele e devota, pregava instancabilmente alla Madonna di Coronata affinché riunisse la coppia (Coronata è una località sulle alture del ponente genovese).
La fede di Paciuga, però, non passò inosservata agli occhi dei vicini, che iniziarono a mormorare e a diffondere voci maliziose sulla sua assidua presenza al santuario. Il ritorno di Paciugo, liberato miracolosamente, porta con sé un’ombra di gelosia e sospetto.
La storia si snoda in un crescendo di emozioni quando Paciugo, ingannato da false accuse, accusa la moglie di tradimento. Un tragico episodio si consuma quando, in preda alla gelosia, Paciugo la colpisce con un coltello e la getta in mare durante una gita a Cornigliano.
Tuttavia, il miracolo si compie al santuario di Coronata. Mentre Paciugo, tormentato dal rimorso, cerca il perdono della Madonna, trova la moglie, sana e salva, in preghiera davanti all’altare. La Vergine ha ascoltato le suppliche di Paciuga, dimostrando la sua fedeltà e innocenza.
La leggenda di Paciugo e Paciuga è un racconto di gelosia e redenzione, arricchito da elementi di devozione religiosa e miracoli. Unisce la storia di una coppia intrappolata tra la crudeltà umana e l’intervento divino, lasciando un segno indelebile nella cultura popolare genovese.
Paciugo e i genovesi
Se sei di Genova e più di una volta nella vita hai pronunciato il nome di “Paciugo” senza nemmeno conoscere il personaggio della leggenda. Sì, perché “paciugo” è uno dei termini dialettali tutt’ora più usati, fino a creare l’equivoco che solo dopo tempo alcuni scoprono che non si tratta di una parola “italiana”. Paciugo a Genova significa “pasticcio”, sia letteralmente che per estensione in senso figurato. Il legame tra questo termine e il personaggio della leggenda, si intuisce facilmente, che di pasticci e paciughi ne fa più di uno…
Ma la figura di Paciugo è legata anche a una specialità molto amata in città, uno degli aperitivi più bevuti a Genova. Infatti, sulla etichetta del Corochinato compare lo stesso Paciugo, con i suoi tipici abiti storici accompagnato dal fedele asinello: e proprio “Asinello” è l’altro nome con cui è conosciuto il Corochinato. Questo vino bianco aromatizzato è una chicca genovese imperdibile: scopri come si beve, lo spieghiamo bene qui.
Le altre maschere tipiche del Carnevale genovese
Il Carnevale genovese e ligure si arricchisce di una miriade di maschere, spesso ormai dimenticate ma intrise di autenticità e tradizione. Tra le figure meno celebrate ma altrettanto affascinanti emergono Baciccia della Radiccia, Barudda, e Pipìa, affondando le loro radici tra il Medioevo e il Rinascimento. Questi personaggi, apparentemente insignificanti ma ricchi di personalità, incarnano il lato buffo, confusionario e contraddittorio della festa, mescolando gaffes al buonsenso.
In particolare, la coppia Barudda e Pipìa, resi celebri nei teatrini marionettistici, rappresenta il connubio di saggezza e brontolii, piagnistei e saccenterie. Cicciulin di Savona, Becciancin di Loano e Nuvarin di Cairo Montenotte, altre figure da non dimenticare, aggiungono colore e varietà al folklore locale, recuperati con cura poco più di mezzo secolo fa.
Tra le maschere di spicco, spunta Capitan Spaventa, risalente alla metà del XVI secolo. Questo “miles gloriosus”, indossa abiti sgargianti, un cappello piumato e brandisce uno spadone. Attraverso narrazioni drammatiche di avventure e fatti d’arme gloriosi, emerge la sua natura di bugiardo, millantatore e perfino vigliacco. Il suo nome completo, Capitan Spaventa di Valli di Inferna, è stato immortalato da Francesco Andreani (1548 – 1624), attore-autore teatrale. Le sue tournée con “Le bravure di Capitan Spaventa” e la “Compagnia dei Gelosi”, cui apparteneva sua moglie Isabella, a cavallo tra XVI e XVII secolo diedero lustro alla tradizione di quest’intrigante personaggio nella storia del Carnevale genovese.